mercoledì 31 marzo 2010

Questo è per noi il tempo del cambiamento.

...Nel formulare la sua strategia per ottenere la libertà, Gandhi si trovò a scegliere, e scelse il coraggio anziché la paura...

...Attraverso il potere del suo esempio e del suo incrollabile spirito, ha ispirato un popolo a resistere all’oppressione, suscitando una rivoluzione che ha liberato una nazione dal dominio coloniale...

...Il significato di Gandhi è universale. Innumerevoli persone in tutto il mondo sono state toccate dal suo spirito e dal suo esempio. La sua vittoria ha ispirato una generazione di giovani americani a rifiutare pacificamente un sistema di evidente oppressione durato per un secolo, e più recentemente ha guidato le rivoluzioni di velluto nell’Europa dell’Est e posto fine all’apartheid in Sudafrica. Nelson Mandela, il Dalai Lama e il dottor Martin Luther King hanno parlato del loro grande debito verso Gandhi...

...C’è bisogno che vi alziate in piedi e lavoriate per il cambiamento....
(dal discorso di Barack Obama del 2 ottobre 2008, giorno della commemorazione di Mahatma Gandhi)

Ma come rendere oggi attuale Gandhi?
Ecco un intervento sul tema di Mark Lindley, uno dei principali studiosi internazionali del pensiero e dell'opera di Gandhi:

"Come far capire Gandhi ai giovani, voi mi chiedete? Se alla televisione vedremo più notizie sul Terzo Mondo, se capiremo finalmente che il terrorismo islamico è dovuto all'esportazione del petrolio e se ci rifiuteremo di assistere a tutta quella commercializzazione inutile, allora qualcosa cambierà. Guardateli i vostri giovani: vedono tanti modelli di camicia, si ritengono più interessanti se indosseranno l'ultimo, cercano di averlo a tutti i costi. Com'è possibile che con una televisione così poco seria essi si interessino ai problemi del mondo? Alla pace? Alla fame di quattro quinti di popolazione del Pianeta?"

E smettiamola di parlare di perdita di valori, precisa lo studioso: "I valori sono sempre lì, basta solo avere determinazione per riscoprirli. Ma per noi oggi è difficile avere fiducia in qualche idea. Gandhi non era un dio. I suoi metodi devono essere studiati, adattati, capiti davvero. Ma una cosa vi posso dire: bisogna che ci cambiamo dentro, che limitiamo volontariamente i nostri desideri. E per far questo è necessario che ognuno di noi si conosca bene. Non bisogna mai fare più di quanto siamo in realtà capaci di fare".

Tutto secondo le proprie possibilità e al momento giusto, dunque: "Supponiamo che finalmente venga prodotta su larga scala un'automobile ecologica e io decida di comprarla. Supponiamo anche che io la compri perché meno costosa, perché più conveniente, non perché consapevole del fatto che sarà un beneficio per l'ambiente e per le persone. Ecco: la mia decisione in realtà servirà ben poco. Ma se invece la compro sapendo che quest'auto è necessaria per diminuire l'inquinamento io faccio un piccolo passo nella direzione giusta, cioè del 'pensare' davvero a quel che faccio, secondo le mie capacità. Così sarò presto pronto a fare il prossimo passo quando verrà il momento. Piccoli passi che porteranno al traguardo. Non pensiamo infatti di cambiare tutto e subito. Gandhi diceva: 'Voglio il cambiamento sociale come le nuvole nel cielo', cioè in modo naturale, spontaneo, non forzato".
Gandhi in tal senso fu un guerriero e un vero politico. Aveva ben presenti gli obiettivi finali e i mezzi per raggiungerli. Lui cercava vantaggi che andassero oltre i momenti della lotta, come un politico pensava al 'dopo', al nuovo governo che l'India si sarebbe data. "Se chiediamo dieci e ci offrono cinque e poi prendiamo solo tre - affermava il Mahatma - va bene così. Poi ci daranno anche gli altri sette".

Gandhi si prendeva le responsabilità di tutte le sue azioni, ma soprattutto puntava alla consapevolezza del singolo individuo, troppo spesso diviso dagli altri fratelli da pregiudizi, ignoranza, bugie. Quando l'India boicottò l'industria tessile britannica, ricorrendo ala produzione interna, le fabbriche in Inghilterra andarono in crisi, ci furono scioperi, licenziamenti, rivolte. Gandhi allora partì dall'India e raggiunse lo Stato britannico. "Andrò lì a spiegare cosa sta succedendo in India. Anche se mi linciano".

E queste furono le parole che rivolse a una folla di operai in rivolta: "Non pensate di prosperare sulle tombe dei poveri milioni di indiani. Non voglio dipendere da alcun Paese per il mio cibo e il mio vestiario". Due lavoratrici lo presero per le braccia e gridarono: "Tre urrà per Mr. Gandhi!!!".

"Questa fu la differenza tra Gandhi, Fidel Castro e Stalin per esempio. Essi furono maestri nel vincere il potere con mezzi distruttivi - ha aggiunto Lindley - Poi però dovettero ricominciare con una società distrutta. Gandhi non volle mai questo". Gandhi fin da allora aveva capito gli effetti devastanti di un potere mondiale soggiogato al denaro, oggi chiamato globalizzazione o mondializzazione: "Voleva sviluppare la capacità di ogni villaggio indiano a essere indipendente. Per addolcire gli effetti malvagi della globalizzazione, diceva. Perché il Paese non fosse rovinato, al massimo diventasse un po' meno ricco. Soleva anche dire che la salvezza dell'India consisteva nel dimenticare quanto imparato negli ultimi 50 anni: treni, telegrafi, ospedali. Per Gandhi il capitalismo fu tutto uno sbaglio. Ci voleva invece autodisciplina come ci vuole anche oggi: quando infatti saremo pronti a semplificare la nostra vita per evitare che milioni di uomini muoiano di fame?"
La forza del singolo uomo, come ha dimostrato Gandhi, è dunque la forza di un popolo intero. Non scoraggiamoci allora quando talvolta ci sembra che poteri superiori, quasi invincibili, vogliano decidere per noi e armarci la mano. Nessuno può decidere per nessuno se egli non lo vorrà. Ma per far questo bisogna uscire dall'incantesimo nel quale pochi bramosi di potere hanno gettato l'intera umanità. Togliere i veli dagli occhi si può: non date niente per scontato, dubitate di tutto quello che vogliono farvi credere. Cercatevi da soli la verità e non smettete mai di cercare. Chi cerca trova sempre, prima o poi."

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