mercoledì 27 aprile 2011

Qualche riflessione sull'omologazione culturale e sociale

La vita oggi è una straordinaria corsa. Per arrivare alla meta occorrono capacità, passione, creatività, merito e non solo furbizia.
Ai giovani vengono, invece, proposte molteplici scorciatoie.
Rispesto a queste poposte più facili da reallizzare è importantissimo che siamon tanti, genitori, amici, concittadinia suggerire metodologie per invertire la rotta in particolare attraverso una educazione al difficile, alla libertà ed all’autonomia.

E’ in gioco il rapporto tra le generazioni ed un futuro migliore per tutti. Troppe famiglie registrano un fallimento nell’educazione dei propri figli che appaiono viziati dal troppo benessere. Bisogna ripartire dalla comunicazione emotiva e dai legami affettivi per affrontare il terremoto attuale nella relazione tra genitori e figli, tra la società e i giovani. La famiglia di oggi è troppo fragile. Occorre una politica organica per la famiglia ed un serio progetto di scuolanon solo per i figli ma anche per i genitori.

Obiettivo comune deve necessariamente essere la crescita del senso di responsabilità dei giovani. Ad essi vengono riconosciute oggi enormi libertà. Si tratta però di una evoluzione che anticipa le tappe della crescita. In altri termini la crescita non corrisponde a maturazione e responsabilità. Aumentano le aspettative nei loro confronti e diminuiscono le opportunità di inserimento stabile nel mondo del lavoro e nella vita pubblica. Da qui una gigantesca solitudine che deriva da una grande sproporzione tra aspettative e quotidianità. Il risultato finale è l’incomunicabilità in un deserto di relazioni superficiali. Il mondo si è ristretto emotivamente e sullo sfondo appaiono sempre più adulti egoisti e lontani dalle giovani generazioni.

Di fronte ai molti ragazzi viziati dobbiamo interrogarci sulle enormi facilitazioni esistenziali che non incoraggiano l’autonomia e la crescita dei figli. Dobbiamo comprendere le cause della incomunicabilità emotiva tra le generazioni. Essendo troppo fragile la comunicazione emotiva in famiglia e nella scuola, dobbiamo avviare veri e propri percorsi formativi per apprendere a comunicare. All’amore latino, di tipo egoistico urge sostituire un serio accompagnamento lungo le vie difficili della vita per aiutare una piccola persona a crescere con i suoi tempi.

Serve una grande iniezione di autorevolezza! Quanto sono patetiche certe figure genitoriali, di presunti educatori, di modelli sociali e politici! Non c’è progetto educativo senza regole e senza l’autorevolezza necessaria a declinarle. Essere adulti implica credibilità, coerenza, buon senso, autorevolezza. Dobbiamo ricreare spazi per un dialogo educativo e dobbiamo farlo subito!!!

Rimane importante l’educazione fra pari ma determinante è dare l’esempio nel rispetto delle regole da parte degli adulti.

Contro l’omologazione culturale e degli stili di vita serve, poi, una forte educazione al pensiero critico, alla libertà reale, al sogno, alla curiosità, all’utopia. Troppo appiattimento educativo può determinare il rischio della sclerotizzazione della personalità dei ragazzi. Dobbiamo, invece, farli uscire dalla normalizzazione del gruppo, ascoltarli, entrare in sintonia, simpatia, empatia con loro.

Di queste cose San Giorgio del Sannio hanno bibisogno come il pane...

lunedì 25 aprile 2011

La Nuova Resistenza...



il mio 25 aprile...

"La libertà è come l’aria, ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della nostra generazione hanno sentito per vent’anni, che io auguro a voi giovani di non sentire mai. Vi auguro di non trovarvi mai a sentire questo senso d’angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare le condizioni perché questo senso d’angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare dando il proprio contributo alla vita politica
(Piero Calamandrei)

domenica 24 aprile 2011

mercoledì 20 aprile 2011

Pensando a chi è ancora imbrigliato dai legami imposti dal DO UT DES....

..."Verrà un giorno che l'uomo si sveglierà dall'oblio e finalmente comprenderà chi è veramente e a chi ha ceduto le redini della sua esistenza, a una mente fallace, menzognera, che lo rende e lo tiene schiavo... l'uomo non ha limiti e quando un giorno se ne renderà conto, sarà libero anche qui in questo mondo" (da La Futura Scienza di Giordano Bruno)...

Non è più il tempo di essere schiavi, non è più il tempo di cedere le redini della nostra esistenza a chi , in modo menzognero, ci rende schiavi!
Non è più tempo della sottomissione ideologica, non è più tempo di pensiero omologato!!!Ognuno di noi è padrone di se stesso e del proprio pensiero e in virtù del proprio intelletto è arbitro dl futuro proprio e del proprio paese!

Affranchiamoci , dunque, dai legacci, dali vincoli, dalle catene della vecchia politica del nepotismo e dei favori, liberiamo finalmente il nostro paese da chi ci tiene schiavi!!!
Il nostro pensare, finalmente libero, farà liberi noi stessi e la nsotra terra e ci condurrà al vero cambiamento!!!

martedì 19 aprile 2011

Tu sporchi, io non ti voto!

Le elezioni si vincono anche rimanendo fedeli ai propri principi e convinzioni!!!

Io ho scelto di non utilizzare manifesti e non utilizzare collaboratori e distributori di materiale elettorale pagati in nero.
La legalità e la trasparenza non si predicano ma si applicano in prima persona. ANCHE LA FORMA E' SOSTANZA!!!

Rete Rose Rosse Campania sostiene ed appoggia la campagna "Tu sporchi io non ti voto" contro le affissioni abusive di BCR Magazine e BMagazine.
Il Presidio di Legalità e Giustizia comincerà ad inviare segnalazioni anche da San Giorgio del Sannio a partire da oggi...

martedì 12 aprile 2011

Cambiare la via vecchia per la nuova...ovvero audentes fortuna iuvat!

E’ molto facile parlare di cambiamento…molto più difficile realizzare, concretizzare il cambiamento…

Cambiare significa mutare, trasformare, modificare una cosa o una situazione, ma questo mutamento può realizzarsi sia sostituendo una cosa con un’altra dello stesso genere (ad es. cambiare casa o cambiare idea) sia sostituendo la medesima cosa con un’altra diversa, per cui la modifica è sostanziale (ad es. la pioggia che si cambia in grandine).
Eppure, il primo caso è di facilissima realizzazione, cambiare, invece, una cosa o una situazione o un’abitudine o la vita stessa con un’altra cosa, un’altra abitudine, un’altra situazione, un’altra vita mette sempre un po’ di paura.

C’è un famoso proverbio, espressione di saggezza popolare, che recita: “Chi lascia la via vecchia per la nuova sa quello che lascia ma non sa quello che trova” e non c’è dubbio che se si intraprende una nuova strada non si può sapere con certezza a che cosa si vada incontro.

Tuttavia, la soluzione che questo proverbio sembra consigliare – quella di non abbandonare mai le vecchie strade - se venisse messa sempre in pratica, impedirebbe ogni progresso, ogni evoluzione, ogni trasformazione. Lo stesso Cristoforo Colombo, ad es., se si fosse fatto prendere dalla paura del nuovo, non si sarebbe mai mosso alla ricerca di una nuova strada per le Indie e non avrebbe mai scoperto quello che non si aspettava di scoprire, ovvero l’America!

Malgrado Colombo, però, malgrado i grandi inventori e i grandi scienziati, la paura della strada nuova esiste eccome!
La “paura del cambiamento” è essenzialmente la paura di uscire dall’area di “comfort” in cui ci sentiamo protetti e che comprende spazi conosciuti, familiari e amici, consuetudini. Pensiamo che sia più semplice e comodo compiere sempre le stesse azioni, vedere sempre le stesse persone e ignoriamo che quando usciamo dalla zona protetta, e quindi dall’abitudine, acquistiamo conoscenze, maturiamo e cambiamo in meglio, cresce la nostra autostima, i nostri orizzonti si allargano.

Ecco, quindi, che il primo passo verso il cambiamento vero sta nel rompere le abitudini e i vecchi schemi.
Molte delle nostre abitudini quotidiane, però, sono inconsapevoli: facciamo spesso gli stessi gesti, percorriamo le stesse strade, andiamo nello stesso bar ma non ce ne accorgiamo. Basterebbe che cambiassimo strada, che cambiassimo bar, che prendessimo il the invece del caffè…sarebbe sicuramente un utile esercizio per imparare a creare situazioni nuove nelle quali trovarsi a proprio agio ed allargare la nostra zona di comfort.

La cosa importante da fare è, dunque, imparare a cambiare, altrimenti il senso della protezione e del comfort può diventare una catena e rallentare se non addirittura impedire un vero e proprio cambiamento.

L’abitudine al cambiamento, quindi, determina una maggiore ampiezza del nostro focus rispetto alla visuale della nostra vita e ci permette di imparare ad affrontare facilmente anche i cambiamenti più consistenti, anziché procrastinare per pigrizia o per paura.

Inoltre se “osiamo” cambiare scopriremo che molti dei cambiamenti che ci spaventano in realtà sono molto più semplici di ciò che si immagina.

Ognuno di noi desidera nell'arco della vita raggiungere quegli obiettivi che ritiene desiderabili: l'autonomia finanziaria, una compagna/o per la vita, un figlio, una casa confortevole ed accogliente, ecc. Ma quanti di noi sono disponibili a fare i mutamenti interiori necessari per realizzare tutto ciò? Ognuno di questi obiettivi comporta inevitabilmente un cambiamento: significa abbandonare vecchie abitudini, modi di pensare obsoleti, significa morire a vecchie modalità di relazione per passare ad una nuova vita.

Ognuno di questi obiettivi rappresenta una trasformazione profonda: rappresenta una morte ed una rinascita.

Quando nel corso della vita di una persona, un determinato passaggio evolutivo è maturo, è pronto per essere oltrepassato, l'individuo deve attraversare una trasformazione profonda, a volte dolorosa: una morte. Tutti vogliamo crescere ed evolverci, ma chi di noi , pur di raggiungere lo scopo, accetta volentieri di morire? Ecco perché nella nostra psiche insorge un conflitto: crescere o non crescere?

Tutto questo è valido per il singolo individuo ma lo è altrettanto per una comunità e per la comunità sangiorgese in particolare.

Quella sangiorgese è una comunità conservatrice che teme il cambiamento, è una comunità avversa ad ogni progetto utopistico e ad ogni cambiamento radicale con una passione a tratti incomprensibile per la conservazione.
E, paradossalmente, spesso anche coloro i quali invocano il nuovo si lasciano sedurre dalla convinzione che la ricerca del benessere individuale e sociale stia nella continuità con il passato e non nel nuovo.
Dunque, non ci sono solo delle forze esterne al cambiamento che lo impediscono. E’ al proprio interno che il cambiamento trova le maggiori opposizioni.

Scriveva l’economista britannico Keynes: “la difficoltà non sta nel credere alle nuove idee ma nel rifuggire dalle vecchie” e a San Giorgio le cose stanno proprio così.
Per questo motivo, risulta naturale domandarsi se la comunità sangiorgese abbia coscienza per iniziare ad interrogarsi sulla necessità di cambiamento, se abbia la volontà di farlo oppure se continuerà ad invocare il nuovo ma delegando la responsabilità del cambiamento senza parteciparvi, nella consapevolezza che l’esitazione o la mera delega impedirà il nascere del nuovo.

Una società svogliata e appiattita su se stessa è una società che non vuole cambiare, che tende a perdere ogni orizzonte valoriale, la propria moralità, la sua libertà.

Tuttavia, è necessario piantare un seme di speranza da curare e far crescere: innanzitutto, rinnegando il falso cambiamento, quello presentato come novità ma al solo scopo di non perdere poteri e privilegi antichi, rinnegando quella San Giorgio gattopardesca che cerca sempre di riciclarsi sotto nuove spoglie per continuare a favorire ed a conservare se stessa il cui motto è “cambiare tutto per non cambiare niente”. E soprattutto ricomponendo e forze più sane, vive e dinamiche presenti nel nostro tessuto sociale, perché solo se le energie migliori di San Giorgio riusciranno a trovare una comune prospettiva per valorizzare e rendere collettive singole esperienze, impegno, idee, voglia di fare, San Giorgio avrà una speranza di futuro!

Se la società, fatta da individui, non può essere cambiata come corpo unico nel suo insieme ma soltanto partendo e lavorando sul cambiamento di ogni individuo, infatti, solo una genuina e convinta spinta collettiva potrà dare la forza ed il coraggio ai singoli di sentirsi collettività, di ergersi a massa critica e rifuggire le cause dei mali di questa comunità, maturando la coscienza del nuovo e del cambiamento.

Per cambiare San Giorgio, dunque, è necessario liberare San Giorgio!

E’ una sfida molto complessa, è una sfida piena, irta di ostacoli, di contrasti magari anche con i nostri stessi compagni di viaggio, animati sì da buoni propositi ma ancora non totalmente liberi dai condizionamenti…è una sfida verso un sogno, è la sfida dell’incoscienza, perché solo chi osa può veramente puntare al cambiamento, quello sostanziale e non di facciata, solo chi è audace e temerario può andare veramente oltre le abitudini e le consuetudini radicate del conservatorismo.

Nell’Eneide (libro X, 284), Virgilio, nel descrivere l’esortazione di Turno re dei Rutuli ad attaccare Enea suo avversario, scrive “Audentes fortuna iuvat”, il fato è dalla parte di coloro che osano e sanno prendere gli opportuni rischi... da allora ne è corsa di acqua sotto i ponti, ma il motto virgiliano è quanto mai vivo, attuale ed idoneo a rappresentare lo stato d’animo mio, e spero non solo mio, alle soglie dell’agone elettorale sangiorgese.

giovedì 7 aprile 2011

La lotta all'omologazione collettiva: Fahrenheit 451

L'ambientazione è quella di un ipotetico futuro (dopo il 1960) nel quale leggere libri è considerato un reato, per contrastare il quale è stato istituito un apposito corpo di vigili del fuoco impegnato a bruciare ogni tipo di volume (il titolo, infatti, potrebbe essere collegato alla temperatura di autocombustione della carta).

Il protagonista della vicenda è un incendiario, Guy Montag, che vive in una società in cui i libri sono illegali e coloro che li possiedono sono considerati sovversivi: il reato viene punito con l'incendio della propria casa e con l'arresto.
La vita di Montag è sconvolta dall'incontro con una ragazza, Clarisse, la quale lo fa riflettere sui valori di quella società che non dà spazio ad opinioni personali e che, invece, cresce uomini che non conoscono la natura e i veri sentimenti umani. Montag decide quindi di sottrarre alcuni libri dalle case che lui stesso incendia, raccogliendo così una certa quantità di volumi.
Il protagonista nasconde questi libri in un buco situato nell'aeratore della sua casa. L'episodio che porta Montag a leggere il contenuto dei libri è l'incendio di una casa in cui viveva una signora anziana: questa, infatti, preferisce morire che vedere i suoi libri bruciare. E' proprio questo maniaco attaccamento ai libri che sconvolge Montag a tal punto da decidere di lasciare il lavoro; quando torna a casa legge i libri nascosti insieme alla moglie, totalmente indifferente a questi episodi che invece turbano tanto la vita dell'ex pompiere.
Il capitano dei pompieri Beatty capisce ciò che Montag sta attraversando e cerca di persuaderlo a tornare alla vita "normale". Beatty confida a Montag di avere vissuto un periodo simile al suo: anche lui aveva letto alcuni libri, ma aveva subito capito che essi non erano in grado di dare la felicità. Beatty consiglia a Montag di non credere né alle parole di Clarisse, né a chi sostiene che i libri contengono la soluzione ai problemi; egli lo esorta a legarsi ai "divertimenti solidi e compatti", ossia a tutte le cose e superficiali e tangibili che portano benessere.
Infine Beatty dice a Montag di restituire il libro rubato ed esce dalla casa. I coniugi leggono i libri: secondo la donna questi non esprimono nessun concetto o valore importante (asseconda quindi la teoria di Beatty). Secondo la donna inoltre, sono più importanti le cose materiali, come la famiglia virtuale, situata in salotto.
Secondo Montag, invece, i libri possono aiutare le persone a non commettere più i medesimi errori; egli è molto deciso a preservare l'integrità dei volumi. Montag rintraccia un professore, Faber, il quale è disposto ad aiutarlo nell'interpretazione dei libri: il prof spiega che i libri sono speciali, poiché, dato che essi non sono reali, si può decidere di smettere la lettura di essi. Faber consegna a Montag un piccolo oggetto da inserire nell'orecchio; grazie ad esso i due potevano comunicare anche a distanza. Faber decide di mettere in contatto un tipografo disoccupato che li può aiutare a ristampare alcuni libri prima che siano bruciati. Montag intanto torna a casa e legge un libro alla presenza delle amiche della moglie che rimangono scandalizzate e attonite. La sera stessa Montag torna a lavoro: suona l'allarme in caserma e la squadra degli incendiari si muove immediatamente, ma quasi paradossalmente Montag scopre che la casa da incendiare è la sua. Montag è così costretto ad incendiare la propria casa; poi, preso dall'ira, uccide Beatty e scappa, nonostante gli fosse stata anestetizzata una gamba.
L'uomo riesce a fuggire e si rifugia a casa di Faber. Lì i due stabiliscono un incontro dopo dieci giorni attraverso il fermoposta. Montag si dirige così verso il fiume, con un cane meccanico alle calcagna, la polizia che lo insegue e le telecamere che riprendono l'inseguimento.
Il protagonista riesce a raggiungere un campo dove si rifugiano i sovversivi: era situato lungo le rotaie di una ferrovia abbandonata; Montag semina così i suoi inseguitori. Nel campo incontra alcuni ex- professori, ex-scienziati che spiegano che la tv arresterà un comune passante per non far scendere l'audience portato dalla visione dell'inseguimento. Ognuno di loro ricorda a memoria un pezzo di un libro, cosicché non se ne perda il contenuto. Intanto vedono lo scoppio della guerra nella città e proprio con questa scena finisce il libro.
"E ti piace giocare alle bocce, vero Montag?"
"Oh, le bocce, si, moltissimo."
"E a golf?"
"Anche."
"Pallacanestro?"
"Un gioco bellissimo."
"Biliardo? Boccetta? Palla ovale?"
"Giochi magnifici, tutti!"
"Più sport per ognuno, spirito di gruppo, divertimento, svago, distrazioni, e tu così non pensi, no? Organizzare, riorganizzare, superoganizzare super-super-sport! Più vignette umoristiche, più fumetti nei libri! Più illustrazioni ovunque! La gente assimila sempre meno. Tutti sono sempre più impazienti, più agitati ed irrequieti. Le autostrade e le strade di ogni genere sono affollate di gente che va un po’ da per tutto, ovunque, ed è come se andasse in nessun posto. I profughi della benzina, gli erranti del motore a scoppio. Le città si trasformano in auto-alberghi ambulanti, la gente sempre più dedita al nomadismo va di località in località, seguendo il corso delle maree lunari …

Consideriamo ora le minoranze in seno alla nostra civiltà. Più numerosa la popolazione, maggiori le minoranze. Non pestare i piedi ai cinofili, ai maniaci dei gatti, ai medici, agli avvocati, ai mercanti, ai pezzi grossi, ai mormoni, battisti, unitarii, cinesi della seconda generazione, oriundi svedesi, italiani, tedeschi, nativi del Texas, brooklyniani, irlandesi, oriundi dell’Oregon o del Messico. I personaggi di questo libro, di questa commedia, di questo programma TV non rappresentano il benché minimo riferimento od allusione a reali pittori, cartografi, meccanici di qualsiasi città o paese. Più vasto il mercato, Montag, meno le controversie che ti conviene comporre, ricordatelo! Tutte le minoranze, fino alle infime, vanno tenute bene, col loro bagnetto ogni mattina. …

Tutto questo è avvenuto! Le riviste periodiche divennero un gradevole miscuglio di tapioca alla vaniglia. I libri, così i loro critici, quei maledetti snob, avevano proclamato, erano acqua sporca da sguatteri. Nessuna meraviglia che i libri non si vendessero più, dicevano i critici, ma il pubblico, che sapeva ciò che voleva, con una felice diversione, lasciò sopravvivere libri e periodici a fumetti. Oltre alle riviste erotiche a tre dimensioni ovviamente. Ecco, ci siamo, Montag, capisci? Non è stato il governo a decidere, no! Ma la tecnologia, lo sfruttamento delle masse e la pressione delle minoranze hanno raggiunto il loro scopo, grazie a Dio! Oggi, grazie a loro, tu puoi vivere sereno e contento per ventiquattr’ore al giorno …

Si teme sempre ciò che non ci è familiare. Chi di noi non ha avuto in classe, da ragazzini, il solito primo della classe, il ragazzo dalla intelligenza superiore, che sapeva sempre rispondere alle domande più astruse mentre gli altri restavano seduti come tanti idioti di legno, odiandolo con tutta l’anima? Non era sempre questo ragazzino superiore che sceglievi per le scazzottature ed i tormenti del doposcuola? Per forza! Noi dobbiamo essere tutti uguali. Non è che si nasca libero ed uguale, come dice la Costituzione, ognuno viene fatto uguale. Ogni essere umano a immagine e somiglianza di ogni altro; dopo di che tutti sono felici … Gli esseri umani vogliono la felicità, non è vero? Non è quello che sentiamo dire da quando siamo al mondo? Voglio un po’ di felicità, dice la gente. Ebbene, non l’hanno forse? Non li teniamo in continuo divertimento, non diamo loro ininterrottamente svago? Non è per questo che in fondo viviamo? Per il piacere e per i più svariati titillamenti? E tu non potrai negare che la nostra forma di civiltà non ne abbia in abbondanza, di titillamenti … Se non vuoi un uomo infelice per motivi politici, non presentargli mai due aspetti dello stesso problema, o lo tormenterai; dagliene uno solo; meglio ancora, non proporgliene nessuno. Fa’ che dimentichi che esiste una cosa come la guerra. Se il governo è inefficiente, appesantito dalla burocrazia ed in preda a delirio fiscale, meglio tutto questo che non il fatto che il popolo abbia da lamentarsi. Pace, Montag. Offri al popolo gare che si possano vincere ricordando le parole di canzoni molto popolari, o il nome delle capitali dei vari Stati dell’Unione o la quantità di grano che lo Iowa ha prodotto l’anno passato. Riempi loro il cranio di dati non combustibili, imbottiscili di fatti al punto che non si potranno neanche più muovere tanto sono pieni, ma sicuri di essere veramente ben informati. Dopo di che avranno la certezza di pensare, la sensazione del movimento, quando in realtà sono fermi come un macigno. E saranno felici perché fatti di questo genere sono sempre gli stessi. Non dar loro niente di scivoloso e ambiguo come la filosofia o la sociologia affinché possano pescare con questi ami fatti ch’è meglio restino dove si trovano. Con ami simili pescheranno la malinconia e la tristezza."


Tutto il libro ruota intorno alla proibizione dei libri.
Il mondo che Bradbury ci presenta è senza libri e pieno di televisione.
Da questa terribile situazione emerge una realtà desolante e tristissima.
È dai libri, infatti, che si possono ascoltare le voci dei più grandi scienziati, studiosi, letterati!!
È un grande messaggio di libertà quello proposto da Bradbury e si oppone a tutte quelle realtà attuali in cui le idee personali sono messe a tacere, poiché esse non sono gradite a chi detiene il potere politico.
Eliminando i libri si rischia di creare un mondo superficiale, dominato da vuoti spettacoli e da martellanti messaggi pubblicitari!
La società di Bradbury ha all'apparenza la felicità come meta più alta in un mondo dove le conoscenze e le idee personali sono pessime. Nessuno ha opinioni o pensieri originali e con l'abolizione dei libri la creatività viene persa completamente.
Il romanzo mostra ciò che la censura è in grado di fare ad una società e perché gli uomini non devono accettare le regole imposte senza interrogarsi sulle implicazioni che queste portano.
Anche il solo cercare di immaginare un mondo senza la letteratura scritta è sconvolgente e triste! Nel mondo di Montag i libri sono sostituiti dalla televisione, poiché leggere o custodire libri è illegale.
Ma la cosa più sconvolgente è quella di Fahrenheit 451 che potrebbe facilmente essere la società in cui viviamo oggi: trascorriamo così tante ore a guardare la televisione che un giorno potrebbe accadere anche a noi di mettere in discussione il valore dei libri e cosa essi portano nelle nostre vite!
Cerchiamo, dunque, di non farci privare delle cose autentiche, di non disabituarci a a stare con noi stessi per riflettere e ragionare e ae a non trasformarci in passivi telespettatori, e non più in autori del nostro destino!

Qualche video tratto dal Film di Francois Truffaut del 1966:

Noi dobbiamo essere tutti uguali (Fahrenheit 451)
Fahrenheit 451 - Uomini-libro
Fahrenheit 451 - Lei è felice?

sabato 2 aprile 2011

Nello sfogliare gli antichi saggi ritrovo i miei pensieri più moderni...

Mi è capitato, per caso, di imbattermi nella pagina Facebook di un amico che riportava tra le sue letture preferite il mito della caverna (VII libro della Repubblica di Platone)…la cosa mi è saltata subito all’occhio perché non è facile trovare tra le letture preferite delle giovani generazioni dei testi classici, per di più filosofici.
Molti, infatti, dai giovani venditori ai manager rampanti, dai giovani politici che vogliono essere innanzitutto convincenti alle persone comuni che vogliono migliorare il proprio linguaggio e i propri livelli di comunicazione, preferiscono spendere fior di quattrini per seguire i seminari del guru dei personal coach Tony Robbins e di altri motivatori e formatori internazionali e magari non hanno mai sentito parlare della “Retorica” di Aristotele, del “Panta Rei” di Eraclito, del “Mito della caverna” di Platone etc…
L’insegnamento e l’attualità di questi antichi pensatori, invece, sono straordinari, tant’è, e lo scriveva anche Solzhenitsyn, che nello sfogliare gli antichi saggi si ritrovano i nostri pensieri più moderni.

Il mito della caverna, ad esempio, è attualissimo perché Platone, per bocca di Socrate, vuole con esso illustrare un problema di cultura, di educazione e di diseducazione, naturalmente.

Lo riassumo brevemente:
Si immaginino dei prigionieri che siano stati incatenati, fin dall’infanzia, nelle profondità di una caverna. Non solo le membra, ma anche testa e collo sono bloccati, in maniera che gli occhi dei malcapitati possano solo fissare il muro dinanzi a loro.
Si pensi, inoltre, che alle spalle dei prigionieri sia stato acceso un enorme fuoco e che, tra il fuoco ed i prigionieri, corra una strada rialzata. Lungo questa strada sia stato eretto un muricciolo, lungo il quale alcuni uomini portano forme di vari oggetti, animali, piante e persone. Le forme proietterebbero la propria ombra sul muro e questo attrarrebbe l’attenzione dei prigionieri. Se qualcuno degli uomini che trasportano queste forme parlasse, si formerebbe nella caverna un’eco che spingerebbe i prigionieri a pensare che questa voce provenga dalle ombre che vedono passare sul muro.
Mentre un personaggio esterno avrebbe un’idea completa della situazione, i prigionieri, non conoscendo cosa accada realmente alle proprie spalle e non avendo esperienza del mondo esterno (si ricordi che sono incatenati fin dall’infanzia), sarebbero portati ad interpretare le ombre “parlanti” come oggetti, animali, piante e persone reali.
Si supponga che un prigioniero venga liberato dalle catene e sia costretto a rimanere in piedi, con la faccia rivolta verso l’uscita della caverna: in primo luogo, i suoi occhi sarebbero abbagliati dalla luce del fuoco ed egli proverebbe dolore. Inoltre, le forme portate dagli uomini lungo il muretto gli sembrerebbero meno reali delle ombre alle quali è abituato; persino se gli fossero mostrati quegli oggetti e gli fosse indicata la fonte di luce, il prigioniero rimarrebbe comunque dubbioso e, soffrendo nel fissare il fuoco, preferirebbe volgersi verso le ombre.
Allo stesso modo, se il malcapitato fosse costretto ad uscire dalla caverna e venisse esposto alla diretta luce del sole, rimarrebbe accecato e non riuscirebbe a vedere alcunché. Il prigioniero si troverebbe sicuramente a disagio e s’irriterebbe per essere stato trascinato a viva forza in quel luogo.
Volendo abituarsi alla nuova situazione, il prigioniero riuscirebbe inizialmente a distinguere soltanto le ombre delle persone e le loro immagini riflesse nell’acqua; solo con il passare del tempo potrebbe sostenere la luce e guardare gli oggetti stessi. Successivamente, egli potrebbe, di notte, volgere lo sguardo al cielo, ammirando i corpi celesti con maggior facilità che di giorno. Infine, il prigioniero liberato sarebbe capace di vedere il sole stesso, invece che il suo riflesso nell’acqua, e capirebbe che:«è esso a produrre le stagioni e gli anni e a governare tutte le cose del mondo visibile e ad essere causa, in certo modo, di tutto quello che egli e suoi compagni vedevano. »
Resosi conto della situazione, egli vorrebbe senza dubbio tornare nella caverna e liberare i suoi compagni, essendo felice del cambiamento e provando per loro un senso di pietà: il problema, però, sarebbe proprio quello di convincere gli altri prigionieri ad essere liberati. Infatti, dovendo riabituare gli occhi all’ombra, dovrebbe passare del tempo prima che il prigioniero liberato possa vedere distintamente anche nel fondo della caverna; durante questo periodo, molto probabilmente egli sarebbe oggetto di riso da parte dei prigionieri, in quanto sarebbe tornato dall’ascesa con “gli occhi rovinati”.
Inoltre, questa sua temporanea inabilità influirebbe negativamente sulla sua opera di convincimento ed, anzi, potrebbe spingere gli altri prigionieri ad ucciderlo, se tentasse di liberarli e portarli verso la luce, in quanto, a loro dire, non varrebbe la pena di subire il dolore dell’accecamento e la fatica della salita per andare ad ammirare le cose da lui descritte.


Qual riflessione emerge da questo mito?
L’uomo passa gran parte del suo tempo nella caverna buia delle sue opinioni, perdendosi le magnificenze del mondo in cui vive, semplicemente perché “crede” a quello che vede, ma non sa che quello che vede è solo una parte di ciò che esiste.
Lontano dalla realtà e incapace di rapportarsi utilmente al mondo esterno, compie delle scelte limitate dalla sua visione.

Ai nostri occhi, dunque, si palesano 3 diverse dimensioni: una dimensione cognitiva, una dimensione politica, una dimensione culturale e comunicativa

Per quanto riguarda la dimensione cognitiva, il mondo chiaroscurale della doxa, cioè dell'apparenza o del sapere per sentito dire, è il mondo in cui ha inizio la nostra conoscenza: in questo mondo si nasce, e solo a partire da questo mondo si può cominciare a conoscere.
Ma una conoscenza che non mette in questione se stessa, interrogandosi sull'ambiente culturale in cui si forma, è destinata ad rimanere provinciale ed esposta alla manipolazione. Infatti, mentre il compito autocritico del filosofo è qualcosa che può essere svolto solo in prima persona, l'acquisizione delle idee e dei valori condivisi dalla comunità può avvenire anche in maniera inconsapevole e passiva.
Il problema del sapere, quindi, è connesso a quello della sua comunicazione e a quello del potere nella comunicazione.

Per quanto concerne la dimensione politica, poi, vediamo che le modalità di conoscenza determinano anche i caratteri della comunità politica: il mondo della caverna è un mondo chiuso e circoscritto, nel quale ha luogo una manipolazione cognitiva tanto più efficace in quanto poco evidente. E' possibile pensare a una comunità politica all'aria aperta, fuori dalla caverna?
A questa domanda si deve rispondere negativamente: la cultura è il luogo dove si forma la prima conoscenza, dove nascono le società e crescono le persone. Per questo il filosofo deve fare i conti con questo mondo chiaroscurale, del quale è anch'egli è cittadino.

Per quanto riguarda la dimensione culturale e comunicativa, infine, vediamo che educazione e cultura sono le questioni politiche fondamentali. Per capire qual è veramente la vita politica di un popolo, occorre indagare su chi controlla il sapere, su come esso viene comunicato e sulla forma e sul grado della sua distribuzione. Nel mondo della caverna, la conoscenza è prodotta e distribuita in maniera monologica e autoritaria, da persone invisibili ai prigionieri, le quali proiettano sulla parete immagini che danno una impressione di realtà, e che creano una cultura comune. I prigionieri-spettatori sono incatenati e passivi, e vivono immersi in uno spazio pubblico circoscritto nel quale la realtà viene creata dalla persuasione occulta di una minoranza.

Detto questo, amici miei, pensate ancora che il mito della caverna non sia ancora così attuale da poter essere applicabile alla nostra Italia e alle tante comunità in cui ognuno di noi vive?
Nel mio caso, nel caso della mia comunità paese lo è sicuramente!