martedì 27 marzo 2012

La Prima Comunione: business o momento di fede?

Ieri i miei figli, come ogni martedì, sono andati al catechismo.
Eh sì, mancano due mesi alla Prima Comunione e sono un pò emozionati.
Quando sono rientrati sventolavano tra le mani un fogliettino e mi hanno detto che era un avviso per me.
L'ho letto e mi sono cadute le braccia: era la nota spese per la cerimonia in Chiesa.
Abito euro 40, 2dvd + 10 foto euro 80, addobbo floreale per la Chiesa euro 12+ euro 5 per il giglio da portare in mano. Il tutto da pagare in due rate, una prima rata di 50 euro ad aprile e la seconda a maggio, e con uno sconto del 50% sulla seconda quota nel caso in cui a fare la Prima Comunione siano due fratelli.

Francamente sono rimasta alquanto sconcertata, dall'uso della parola "costo" in particolare.
Ebbene sì, sul bigliettino c'è scritto: "La cerimonia comporta dei costi".

Mi sono chiesta: se la parola "costo" significa, come da dizionario, "il prezzo pagato o associato ad un evento commerciale o ad una transazione economica", vuol dire il bene o servizio associato al costo me lo sto comperando?
Ma la Prima Comunione, prima di essere un bene o un servizio, non è un Sacramento?
Sicuramente non è solo un Sacramento ma anche uno spettacolo, visto che dobbiamo creare una location adatta attraverso addobbi floreali e perpetuarne il ricordo non con uno ma addirittura con due DVD, nonchè un business, visto che questi servizi non vengono indicati come eventuali, accessori e, soprattutto discrezionali, rispetto alla Cerimonia, ma come parte integrante di essa.

Quale, dunque, la mia riflessione di genitore su tutto questo?
Io cerco di educare i miei figli con certi valori morali,il rispetto delle cose e delle persone, la sobrietà, l'eguaglianza, e poi, scopro che tutto il resto, che la società è più forte di me. E questo non è morale. Il denaro, la televisione, il potere, persino la religione sono diventate qualcosa di diverso. Tutto è diventato un business, anche la prima comunione!

A metà ottocento, Henry Thoreau, un grande filosofo e scrittore statunitense, scriveva: “Un uomo è ricco in proporzione al numero di cose delle quali può fare a meno”.
Oggi, alla luce di quanto ho raccontato e alla luce, soprattutto del nostro stile di vita tutto centrato sull’incentivazione del consumo ad ogni costo, anche al di là delle reali possibilità delle persone e delle comunità, questo ci potrebbe sembrare un punto di vista impensabile, persino un po’ utopico.
Tuttavia, io sono convinta che la sfida è fare scelte coraggiose, essere consapevoli che le nostre azioni possono “spostare” scelte compiute da alcuni a discapito di molti.

E fare queste scelte coraggiose non è certo facile: da bambina sono cresciuta nell’abbondanza e l’idea avere meno cose, lo confesso, fino ad un pò di tempo fa mi spaventava. Tuttavia, oggi che sono mamma sento tutto il peso e la difficoltà di educare i miei figli e, in un mondo votato al consumismo sfrenato, in cui gli economisti gli economisti affermano che soltanto incrementando i consumi, costruiremo un'economia sana e vincente, è necessario fare delle scelte.
Mi sono posta come obiettivo quello di educare i miei bambini alla sobrietà, alla semplicità di vita, perché mi sono resa conto nel tempo che una vita troppo piena di cose lascia meno spazio alle persone, alla natura e alla riflessione interiore.

Più volte mi sono trovata davanti alla domanda imbarazzante dei miei figli, che, avendo confrontato il nostro stile di vita con quello di altri, chiedevano: "mamma, ma noi siamo poveri?"
È stato complesso spiegare loro, visto che hanno solo 9 anni, che non siamo poveri, perché abbiamo tutto ciò che è essenziale alla vita e anche un po’ di superfluo, ma cerchiamo di sprecare il meno possibile, per rispetto del mondo in cui viviamo e delle persone che stanno peggio di noi.
E' chiaro, però, che prima di far diminuire in loro l'interesse per i beni materiali, è necessario farli “innamorare” di qualcosa di più importante: la natura, l’amicizia, le relazioni umane, l'uguaglianza, l'amore, tutto quel variegato mondo, insomma, che il possesso delle cose spesso ci tiene lontano.

Io lo sto facendo e lo faccio quotidianamente, e dalla Chiesa mi aspetterei altrettanto. Ma, a quanto pare, l'antico adagio relativo ai preti, "fate quello che dico io ma non quello che faccio io", è ancora assolutamente valido!!!

venerdì 23 marzo 2012

Permettete una domanda?

Stamattina mi sono svegliata con questo interrogativo: che senso hanno l'associazione di Protezione Civile, la partecipazione al Giro d'Italia, la scuola a indirizzo musicale, l'ora della terra, la raccolta degli oli esausti, e tante altre cose qui a San Giorgio, se la comunità gradualmente muore dentro e fuori?
Ci lasciamo uccidere dall'amianto, dalla monnezza, dall'alcolismo giovanile, dallo spaccio di droga, dalla microcriminalità, dall'abbandono degli anziani, dal maltrattamento agli animali, dagli appalti illegittimi, dal consumo di territorio, dall'illegalità diffusa, dalla mancanza di trasparenza amministrativa, e siamo noi stessi gli artefici della nostra morte!!!

Cosa sta sucedendo alla nostra comunità?

Siamo abituati a tutto e tutto ci scivola addosso...la nostra è una comunità inerte, sfibrata, e, prendendo a prestito un termine medico, in coma profondo...
Ma non ancora morta...

Non morta, perchè tutte le cose che accadono, benchè brutte, inopportune, illogiche, e a volte anche illegittime, sono frutto di una certa qual vitalità, ma è sicuramente una comunità incapace di reagire.

Non esiste coscienza critica, ci si fodera occhi ed orecchie di prosciutto, non esiste alcun movimento di popolo.

San Giorgio è avviluppata in una favoletta ormai stucchevole, quella storiella del paese dei fiori e della cortesia che non esiste più da tempo, ormai...

L'unica soluzione che è stata individuata, in particolare dai più giovani, è quella di andarsene e lasciare dietro di sè a marcire il proprio paese...
Secondo me ad andarsene dovrebbero essere gli altri, quelli che hanno violentato questo territorio per trarne profitto personale, quelli che da questa terra hanno estirpato i fiori e ci hanno messo il cemento, quelli dal petto della gente hanno strappato un cuore pulsante e ci hanno messo un mattone, quelli che al posto della cortesia hanno fatto crescere e pascere l'indifferenza...

Qualcuno mi dirà: ma veramente vale la pena di rimanere e lottare?

Vale la pena, rispondo, perchè lottare e’ l’unica speranza.
Lottare perche’ questa terra merita la riconquista da parte del suo popolo.
Perché qui ancora ci sono ragazzi con grandi sogni e padri e madri che voglio un futuro migliore per i propri figli.
Rimanere e lottare perchè questa terra non si addormenti e i sogni di pochi possano essere la sua veglia.

venerdì 16 marzo 2012

Don Diana e il 19 marzo: la mamora di un sacrificio o una semplice festa a scuola?

Il 19 marzo in Campania non è semplicemente la festa del papà: dal 2010, infatti, per iniziativa dell’allora Assessore Regionale all’Istruzione, Corrado Gabriele, è stata istituita, proprio per il 19 marzo, la giornata in ricordo di tutte le vittime della mafia e di quelle sacrificatesi per il valore della legalità, e in particolare di Don Giuseppe Diana, ucciso nella sacrestia della sua chiesa, la Parrocchia di San Nicola a Casal di Principe, proprio nel giorno di San Giuseppe.

Lunedì, dunque, non si andrà a scuola, ma con questo giorno di vacanza non c’entrano né la festa religiosa di San Giuseppe né la festa consumistica e commerciale del papà: è una festa laica quella che celebreremo, nel ricordo di un uomo e di un sacerdote che ha fatto della lotta alla criminalità organizzata il punto nodale della sua vita e che proprio da questa criminalità che combatteva ogni giorno è stato barbaramente ucciso.
E’ il giorno del ricordo, e fare memoria del sacrificio di Don Diana è sicuramente un atto doveroso. Lo stesso Assessore Gabriele, nelle motivazioni per l’istituzione di questa celebrazione, scriveva che il 19 marzo deve essere “uno stimolo, per i ragazzi e tutti gli studenti, a crescere nella memoria di questa importante figura di resistenza contro la camorra”.

Ebbene, ho chiesto ai miei figli, che frequentano la IV elementare, se, per caso, in questi giorni, avessero parlato a scuola di Don Diana, ma loro, candidamente, mi hanno risposto: “e chi è?”
Francamente, come mamma e come cittadina impegnata su vari fronti nella diffusione della cultura della legalità, sono rimasta particolarmente meravigliata dal fatto che non ne sapessero nulla e ho deciso di parlargliene io, ma ho anche deciso di scrivere al Dirigente Scolastico affinché invitasse il corpo insegnante a raccontare, anche ai più piccoli, di don Diana, del suo impegno anticamorra e del suo sacrificio “per amore del suo popolo”.

L’istituzione di questa ricorrenza a carattere regionale è stata una felice intuizione ed un atto sicuramente meritorio da parte della Regione Campania, ma non può e non deve passare come un’occasione come altre per fare festa a scuola!

La figura di don Diana è patrimonio di tutti, della Chiesa, delle associazioni cattoliche e laiche, dei semplici cittadini, delle Istituzioni, di tutti quanti considerano prioritario per la crescita a 360° della società l’eliminazione di quel cancro maligno che è la camorra, il malaffare, la criminalità… la figura di don Diana è patrimonio anche della scuola, che dovrebbe sentire forte il dovere culturale ed educativo di promuovere la memoria di esempi così grandi di coerenza e di coraggio.

Il mio invito, dunque, l’invito di mamma e di cittadina attiva e consapevole, è a tutti gli insegnanti e gli operatori della scuola: mettiamo per una volta da parte la solita poesia per la festa del papà e il classico e, probabilmente obsoleto, lavoretto con le mollette e facciamo iniziative volte a stimolare i nostri figli alla riflessione sull’impegno e il sacrificio di don Diana e di tutti quanti si sono sacrificati per il valore della legalità!
Solo così possiamo veramente crescere nella cultura della legalità, praticandola e tenendone sempre in mente il valore: credo che i papà ne saranno ugualmente contenti!

giovedì 8 marzo 2012

8 marzo ovvero la sagra della demagogia

Oggi è l’8 marzo…ogni anno, l’8 marzo è oggetto di miriadi di considerazioni su come realmente dovrebbe essere celebrata questa data…ognuno dice la sua…ognuno strumentalizza questa celebrazione per suo uso e consumo… i commercianti per vendere gadget e mimose, i politici per accattivarsi le simpatie femminili, i comici per fare audience, gli amministratori per consolidare il consenso delle proprie elettrici, gli uomini, in generale, per fare ironia sulle donne o, molto più semplicemente, per provarci con qualcuna in maniera carina…

Sinceramente, dopo lo scorso anno, quando ho visto fallire miseramente l’evento creato dal Comitato Beneventano del “Se non ora quando” a causa delle mire ed ambizioni non politiche bensì molto più meramente di “poltrona” di alcune donne (che quello scopo lo hanno poi raggiunto), ho subito un brutto colpo, dal punto di vista umano e intellettuale e, ancora una volta, mi sono resa conto sulla mia pelle che una cosa sono i valori e le idee e un’altra cosa è incarnarle e portarle avanti senza condizionamenti, politici, sociali o di altra natura.

Oggi è l’8 marzo e questa giornata sarà la solita sagra demagogica (come l’ha definita la cara Cristiana Alicata), oggi ci sarà demagogia a go go, demagogia in tutte le salse, demagogia politica, demagogia sociale, economica e perfino ecclesiale, perché sicuramente anche la Chiesa avrà le sue parole da dire per l’occasione.

E questo gran mix ce lo porteremo appresso anche per qualche giorno visto che ad es, domenica prossima a San Giorgio del Sannio, si siederanno dietro un tavolo a pontificare di donne, economia e società sindaci, assessori, preti, ed onorevoli, insieme, guarda caso, proprio a quelle signore di cui parlavo sopra, quelle donne che, abilmente, oggi hanno ottenuto la loro poltrona e da questa poltrona vengono a raccontare la solita solfa sulle donne che devono riscattarsi e partecipare al cambiamento sociale.

Ma di quale riscatto vanno blaterando? Di quale partecipazione al riscatto sociale?
Riscattarsi significa liberarsi, redimersi da una condizione negativa, e, se permettete, le uniche che dovrebbero spezzare le catene e contribuire veramente al cambiamento sono proprio quelle donne che rimangono costrette in un partito che non cambia e che di nuovo ha solo il nome che copre una vecchia realtà di democristiana memoria, quelle donne che pur di stare al posto dove stanno, accettano una condizione di sudditanza, quelle donne mute nei luoghi dove si decide e parolaie nei convegni e nelle conferenze inutili, quelle donne che parlano soltanto ma quando è il momento del fare sono relegate in un angolino dal potere di quegli uomini cui non si sanno opporre, quelle donne che non sono capaci di liberarsi e che continuano a vivere ed agire nel limbo del “non cambiare mai la via vecchia per la nuova perché sai quello che lasci e non sai quello che trovi”….

Queste donne cadute in trappola ed incapaci di liberarsi non sono certo un modello da imitare, soprattutto a San Giorgio del Sannio, terra di nessuno, terra di conquista politica, terra di speculazioni, terra senza né più fiori né cortesia…

Io non faccio parte di questa categoria, e come me, fortunatamente, molte altre donne…ecco perché questo 8 marzo è nostro, un 8 marzo di ricordo e di sprone, un 8 marzo di azione, e, senza ombra di dubbio, ce lo meritiamo tutto!

martedì 6 marzo 2012

Questo 8 marzo è tutto nostro!!!

Ieri sera l’amico e sostenitore Pasquale Casciello ci ha raccontato un episodio della recente storia di San Giorgio del Sannio che è bello condividere in questi giorni che ci avvicinano all’ 8 marzo: ci ha raccontato delle “tabacchine”, le operaie dell’Agenzia Tabacchi, e di una in particolare, una donna sangiorgese, che insieme ad altre quattro o cinque, diciamo così, “colleghe” di Apice e San Nazzaro, riuscì a portare avanti strenuamente le prime rivendicazioni salariali e normative all’interno del tabacchificio, mettendosi alla testa anche degli operai maschi e contribuendo, a partire dalla nostra cittadina, alla costruzione di una classe operaia organizzata in un settore durissimo, per quanto precario e stagionale, quale quello del tabacco.

Questa donna, queste donne, non miravano certo ad ottenere privilegi personali o posti di particolare potere o ruoli di spicco nel sindacato: queste operaie si trovavano, negli anni tra il 1950 e il 1960, a lavorare in un settore in cui da un lato le operaie conservavano il ruolo e l'identità di manodopera stagionale ma dall’altro si avviavano a diventare classe operaia organizzata, e in questa congiuntura erano donne che si impegnavano a costruire quotidianamente una sorta di welfare aziendale ante litteram, legato in particolare alla presenza di lavoratrici madri.
Questa donna, queste donne, iniziavano nell’Agenzia Tabacchi di San Giorgio, a cavallo tra gli anni ‘50 e ’60, un importante percorso personale, di classe, di consapevolezza sociale e di "genere".

E’ vero, dunque, che San Giorgio del Sannio ha avuto momenti della sua storia in cui non è stata il paese di Coppolonia e le protagoniste di questi momenti, vivaddio, erano donne!!!

Queste donne hanno costruito e fanno parte del nostro recente passato e noi le ricordiamo con orgoglio, ma con altrettanto orgoglio rivendichiamo il nostro ruolo attuale di donne sangiorgesi, che, gratuitamente ed esclusivamente per senso civico, sono impegnate nella formazione e nello sviluppo della partecipazione democratica dei cittadini alla gestione della cosa pubblica, al fin di creare un potere collettivo e condiviso, rivendichiamo il nostro ruolo attuale di donne che non hanno alcun intento di costruirsi una carriera professionale alternativa dismettendo i panni di normali cittadini ed entrando a far parte dell’elite politico-amministrativa locale, bensì intendono essere membri attivi della comunità, donne che lavorano per il bene comune e non per far bene al Comune!
E rivendichiamo con altrettanto orgoglio anche il nostro ruolo di mogli, di madri, di sorelle, di lavoratrici, perché, anche da donne impegnate nella vita democratica del nostro paese, riusciamo a mantenere gli impegni della nostra vita quotidiana, lavoro, famiglia, figli, utilizzando un metodo “a rete” che permette di valorizzare anche il più piccolo contributo concreto di ogni persona.

La comunità che immaginiamo e per la cui costruzione ci impegniamo è fatta di uomini e donne che sono perfettamente consapevoli dell’immenso potenziale di sensibilità ed intelligenza delle donne e che, al di là dei pregiudizi e retaggi culturali, sono consapevoli della necessità di ricreare l’idea di corpo sociale a partire dal rispetto di tutte le sue componenti.
Il femminismo degli anni ’70 ha fallito proprio per la sua idea di voler raggiungere a tutti i costi la parità: noi, invece, crediamo fortemente nell’empatia profonda tra i generi, al di là di tutte le forme di competizione e crediamo sia ormai imprescindibile accelerare il processo di sviluppo e di benessere, cui le donne possono contribuire in maniera straordinaria.
A noi e a tutte le donne che pensano e agiscono come noi vogliamo dedicare questo 8 marzo: e non ci dite che siamo immodeste, ce lo meritiamo!

sabato 3 marzo 2012

PER ESSERE NO TAV NON OCCORRE ESSERE VALSUSINI: BASTA ESSERE INFORMATI


La Comunità della Valle di Susa si oppone da 23 anni, e con valide ragioni tecniche, alla costruzione della tratta ferroviaria ad alta velocità Torino-Lyon.

Il movimento NO TAV è nato per la difesa di un territorio alpino, perché la Valle di Susa è già attraversata da altri quattro collegamenti internazionali (due statali, un’autostrada e una ferrovia internazionale) e il lungo confronto tecnico ha dimostrato l’inutilità di quest’opera.

UNA NUOVA LINEA FERROVIARIA NON SERVE

perché esiste già una linea ferroviaria internazionale, elettrificata e a doppio binario, sulla quale sono stati conclusi i lavori per l’ammodernamento del tunnel del Frejus, che è utilizzata solo al 32% delle sua potenzialità ed è in grado di permettere il transito sia dei treni merci sia dei treni veloci TGV;

perché è dimostrato che da anni il traffico merci attraverso le Alpi Occidentali è in forte calo, che da sempre i treni merci dell’AFA viaggiano sotto utilizzati e che non esiste alcuna domanda di trasporto passeggeri che possa giustificare una nuova linea ferroviaria, il cui costo a preventivo è di oltre 20 miliardi di euro, per una folle spesa di 120 milioni di euro al km.

Il progetto TAV nel suo complesso si è rivelato la “nuova tangentopoli”, come documentato nel libro Corruzione ad Alta Velocità del magistrato Ferdinando Imposimato, già membro della Commissione Antimafia, ed è diventato il più grande scandalo finanziario della Repubblica.

Il progetto TAV, che ha sottratto risorse a tutte le “piccole opere” veramente necessarie al Paese, è già costato alla Finanza Pubblica oltre 44 miliardi di euro, aggravando il debito pubblico. Sarebbe più importante provvedere al buon funzionamento dei treni dei pendolari, sempre più carenti e inadeguati, e ripristinare i treni notturni per il Sud, anziché progettare mezzi di lusso per pochi.

Non è accettabile che, mentre vengono imposti pesanti sacrifici, altri 20 miliardi di euro vengano sprecati in un’ennesima grande opera utile solo a chi la vuole costruire.

PER ESSERE NO TAV NON OCCORRE ESSERE VALSUSINI: BASTA ESSERE INFORMATI

www.notav.info – www.notav.eu – www.notav-valsangone.eu – www.notavtorino.org www.ambientevalsusa.it – www.lavallecheresiste.info – www.spintadalbass.org

IO STO CON I VALSUSINI!!!


Sono contro il Tav perché ritengo questa “grande opera”:

1 – INUTILE: tutte le previsioni sul numero di passeggeri e il volume del traffico merci dei prossimi anni stimano una diminuzione della domanda. La stessa linea storica esistente è sotto-utilizzata e su di essa è già attiva una linea Tgv che collega da anni Torino con Parigi (passando per Chambery; la variante con scalo a Lione è stata soppressa per mancanza di passeggeri!).

2 – DANNOSA: l’impatto ambientale e sociale dell’opera sarebbe invece incalcolabile. Nessuna risposta è stata mai fornita agli innumerevoli esposti di tecnici e istituti indipendenti sul rischio inquinamento da amianto e uranio (minerali ampiamente presenti nel sottosuolo valsusino). La lunga opera di costruzione prevede inoltre 20 anni di cantiere, scavi e trasporto di tonnellate di smarino (residuato dei lavori di scavo) su e giù per la valle che è una delle più antropizzate e industrializzate di tutto il paese, essendo già attraversata da una ferrovia, due statali e un autostrada.

3 – SPRECO DI DENARO PUBBLICO: la realizzazione di quest’opera comporterebbe un dispendio di denaro pubblico senza precedenti. Miliardi di euro estratti dalle finanze pubbliche per finanziare una vera e propria voragine di spesa difficilmente arginabile, dove nullo è l’investimento di capitali privati e massimo il “guadagno senza rischio” dei contraenti l’opera che si vedono regalati mezzi e capitali senza alcuna contropartita. Il costo di un km di Tav si aggira intorno ai 100 milioni di euro. Quanti letti d’ospedale, quante scuole, quanto stato sociale ci vengono sottratti da questa grande opera ? NO TAV = NO al DEBITO!

4 – FINANZIAMENTO ALLE MAFIE E AI PARTITI: l’architettura finanziaria che presiede alla realizzazione delle cosiddette “grandi opere” si articola in un sistema di appalti e sub-appalti in cui alto è il rischio di infiltrazione mafiosa. Un dispositivo che si rivela però molto utile per il finanziamento (poco trasparente) ai partiti politici che sono tra i principali sostenitori della realizzazione dell’opera.

5 – CHI DECIDE? – nella sua ventennale storia il movimento notav ha sperimentato forme di partecipazione e decisione politica molto avanzate che hanno costituito un esempio inedito di incontro tra soggetti tra loro eterogenei: amministrazioni locali, comitati popolari, collettivi politici e semplici cittadini. Le strategie e le direzioni di marcia sono sempre state decise insieme, in pubbliche assemblee, dove la sintesi del percorso comune non ha mai pregiudicato l’autonomia delle parti. Nella sua pratica quotidiana, il movimento notav ha posto una domanda cruciale per il futuro della democrazia nel nostro paese: a chi spetta decidere, quali processi permettono scelte condivise, chi può legittimamente parlare in nome dell’interesse generale?