venerdì 16 aprile 2010

Il partito federale non è la soluzione ai problemi del PD nè tanto meno è un bene per la sinistra tutta

da l'Unità di oggi 16 aprile 2010

Il territorio non basta ci vogliono idee di Giuseppe Provenzano

"Dopo queste elezioni regionali, il timore che la profezia di Gianfranco Miglio sia sul punto di avverarsi è ancora più forte: un’Italia divisa, nelle sue versioni estreme, «Nord alla Lega, Sud alle mafie», o in quelle più edulcorate «Nord alla Lega, Sud agli eredi della Dc», e un’Italia di mezzo a fare da cerniera debole, minacciata dall’avanzata dell’una e dell’altra Italia. Con un blocco sociale raccolto nell’alleanza Pdl e Udc che arriva fino al Lazio meridionalizzato, e un’avanzata virulenta della Lega, che ormai ha superato l’Appennino tosco-emiliano. C’è una secessione promessa, ma c’è anche una secessione già avvenuta, che s’è inventata popoli reinventando populismi, e che il Partito del Sud, assai maldestramente, finirà per assecondare, finirà di completare, in un misero finale della seconda Repubblica. La formulazione politica della competizione territoriale, in quadro istituzionale aperto a derive separatiste, finirà per allargare i divari, radicalizzare le disuguaglianze.
Ora il Pd vuole reagire. Deve, ma come? Col partito federale, si dice. Che riparta dai territori, che si “radichi” nel territorio. Bene, ma bisogna intendersi sulle parole, evitare un’insopportabile ecolalia, liberarsi della mitizzazione della militanza leghista che si sta facendo in questi giorni sciagurati. D’altra parte, non sembra un’idea geniale – al risveglio dalla sbronza primarista – affidare tutto ai segretari regionali, come se il problema della formazione della leadership non si riproponesse tal quale a tutti i livelli. Lo sanno, i proponenti, come si svolgono i congressi in molte parti d’Italia? Con tessere prepagate, circoli ridotti a seggi elettorali, nessuno spazio per un confronto di argomentazioni e idee. In certi territori, per dire, bisognerebbe “sradicare” più che “radicarsi”, e far somigliare il partito alla società da cambiare, e non a quella così com’è, con le sue ingiustizie, i suoi egoismi e le sue miserie.
Perché è sull’idea da proporre al territorio che si misura il successo della presenza: non sul numero e l’allestimento dei gazebo, ma sul messaggio da veicolare nelle piazze. Su questo, vince la Lega. Su questo, dovrebbero sfidarsi nuove e vecchie forze, di tutte le età e le geografie: discutendo dal Sud al Nord di Nord e Sud, e del mare – sempre più piccolo, sempre più profondo – in mezzo. Ritrovando un luogo, nel partito, che la balcanizzazione correntizia e la feudalizzazione nei rapporti centro-periferia ha negato. E sapendo che, al punto in cui è malridotto il Paese, il termine “federale” dovrebbe riacquistare un accento originario: tendere verso ciò che unisce e tiene insieme. Altrimenti, passata l’euforia regionalista, il secessionismo condurrà alle differenze tra province e comuni, fino ad arrivare alla differenza sociale tra individui, che l’ideologia del territorio riesce appena a malcelare.
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Questo articolo, insieme alla bella faccia del liberaldemocratico Clegg che ha stravinto il primo confronto TV tra i maggiori leaders politici inglesi e insieme anche all'analisi del voto alle regionali francesi vinte dalla sinistra con un'ampia coalizione e con il grandissimo contributo di Europe Ecologie di Daniel Cohn-Bendit, mi rendono ancora più convinta della mia tesi e ancora più tenace nel diffonderla:

E' assolutamente necessario, e lo è ORA non in futuro, abbandonare l'idea dei partiti tradizionali ormai incancreniti dai clientelismi, dai personalismi dei leader o presunti tali e dai giochi di potere.
E' di fondamentale importanza dare vita ad una struttura aperta ed elastica, che non dipenda dai partiti, che rispetti la pluralità e la singolarità delle sue componenti e che riesca a colmare quell'enorme gap che si è venuto a creare negli anni tra società e politica.
Insomma, bisogna dare vita ad una sorta di "biodiversità culturale e politica" all'interno della sinistra, come scrive Cohn-Bendit.

E' necessario RIPOLITICIZZARE LA SOCIETA' CIVILE E SOCIALIZZARE LA SOCIETA' POLITICA e la Rete delle Rose Rosse (che ho contribuito a fondare e che sto provando a far crescere anche attraverso questo salto di qualità non di poco conto), nata come Rete del Rispetto, delle Regole e del Rinnovamento non può non considerarsi come luogo privilegiato in cui far crescere questa nuova dimensione della politica italiana moderna.

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