Molti, infatti, dai giovani venditori ai manager rampanti, dai giovani politici che vogliono essere innanzitutto convincenti alle persone comuni che vogliono migliorare il proprio linguaggio e i propri livelli di comunicazione, preferiscono spendere fior di quattrini per seguire i seminari del guru dei personal coach Tony Robbins e di altri motivatori e formatori internazionali e magari non hanno mai sentito parlare della “Retorica” di Aristotele, del “Panta Rei” di Eraclito, del “Mito della caverna” di Platone etc…
L’insegnamento e l’attualità di questi antichi pensatori, invece, sono straordinari, tant’è, e lo scriveva anche Solzhenitsyn, che nello sfogliare gli antichi saggi si ritrovano i nostri pensieri più moderni.
Il mito della caverna, ad esempio, è attualissimo perché Platone, per bocca di Socrate, vuole con esso illustrare un problema di cultura, di educazione e di diseducazione, naturalmente.
Lo riassumo brevemente:
Si immaginino dei prigionieri che siano stati incatenati, fin dall’infanzia, nelle profondità di una caverna. Non solo le membra, ma anche testa e collo sono bloccati, in maniera che gli occhi dei malcapitati possano solo fissare il muro dinanzi a loro.
Si pensi, inoltre, che alle spalle dei prigionieri sia stato acceso un enorme fuoco e che, tra il fuoco ed i prigionieri, corra una strada rialzata. Lungo questa strada sia stato eretto un muricciolo, lungo il quale alcuni uomini portano forme di vari oggetti, animali, piante e persone. Le forme proietterebbero la propria ombra sul muro e questo attrarrebbe l’attenzione dei prigionieri. Se qualcuno degli uomini che trasportano queste forme parlasse, si formerebbe nella caverna un’eco che spingerebbe i prigionieri a pensare che questa voce provenga dalle ombre che vedono passare sul muro.
Mentre un personaggio esterno avrebbe un’idea completa della situazione, i prigionieri, non conoscendo cosa accada realmente alle proprie spalle e non avendo esperienza del mondo esterno (si ricordi che sono incatenati fin dall’infanzia), sarebbero portati ad interpretare le ombre “parlanti” come oggetti, animali, piante e persone reali.
Si supponga che un prigioniero venga liberato dalle catene e sia costretto a rimanere in piedi, con la faccia rivolta verso l’uscita della caverna: in primo luogo, i suoi occhi sarebbero abbagliati dalla luce del fuoco ed egli proverebbe dolore. Inoltre, le forme portate dagli uomini lungo il muretto gli sembrerebbero meno reali delle ombre alle quali è abituato; persino se gli fossero mostrati quegli oggetti e gli fosse indicata la fonte di luce, il prigioniero rimarrebbe comunque dubbioso e, soffrendo nel fissare il fuoco, preferirebbe volgersi verso le ombre.
Allo stesso modo, se il malcapitato fosse costretto ad uscire dalla caverna e venisse esposto alla diretta luce del sole, rimarrebbe accecato e non riuscirebbe a vedere alcunché. Il prigioniero si troverebbe sicuramente a disagio e s’irriterebbe per essere stato trascinato a viva forza in quel luogo.
Volendo abituarsi alla nuova situazione, il prigioniero riuscirebbe inizialmente a distinguere soltanto le ombre delle persone e le loro immagini riflesse nell’acqua; solo con il passare del tempo potrebbe sostenere la luce e guardare gli oggetti stessi. Successivamente, egli potrebbe, di notte, volgere lo sguardo al cielo, ammirando i corpi celesti con maggior facilità che di giorno. Infine, il prigioniero liberato sarebbe capace di vedere il sole stesso, invece che il suo riflesso nell’acqua, e capirebbe che:«è esso a produrre le stagioni e gli anni e a governare tutte le cose del mondo visibile e ad essere causa, in certo modo, di tutto quello che egli e suoi compagni vedevano. »
Resosi conto della situazione, egli vorrebbe senza dubbio tornare nella caverna e liberare i suoi compagni, essendo felice del cambiamento e provando per loro un senso di pietà: il problema, però, sarebbe proprio quello di convincere gli altri prigionieri ad essere liberati. Infatti, dovendo riabituare gli occhi all’ombra, dovrebbe passare del tempo prima che il prigioniero liberato possa vedere distintamente anche nel fondo della caverna; durante questo periodo, molto probabilmente egli sarebbe oggetto di riso da parte dei prigionieri, in quanto sarebbe tornato dall’ascesa con “gli occhi rovinati”.
Inoltre, questa sua temporanea inabilità influirebbe negativamente sulla sua opera di convincimento ed, anzi, potrebbe spingere gli altri prigionieri ad ucciderlo, se tentasse di liberarli e portarli verso la luce, in quanto, a loro dire, non varrebbe la pena di subire il dolore dell’accecamento e la fatica della salita per andare ad ammirare le cose da lui descritte.
Qual riflessione emerge da questo mito?
L’uomo passa gran parte del suo tempo nella caverna buia delle sue opinioni, perdendosi le magnificenze del mondo in cui vive, semplicemente perché “crede” a quello che vede, ma non sa che quello che vede è solo una parte di ciò che esiste.
Lontano dalla realtà e incapace di rapportarsi utilmente al mondo esterno, compie delle scelte limitate dalla sua visione.
Ai nostri occhi, dunque, si palesano 3 diverse dimensioni: una dimensione cognitiva, una dimensione politica, una dimensione culturale e comunicativa
Per quanto riguarda la dimensione cognitiva, il mondo chiaroscurale della doxa, cioè dell'apparenza o del sapere per sentito dire, è il mondo in cui ha inizio la nostra conoscenza: in questo mondo si nasce, e solo a partire da questo mondo si può cominciare a conoscere.
Ma una conoscenza che non mette in questione se stessa, interrogandosi sull'ambiente culturale in cui si forma, è destinata ad rimanere provinciale ed esposta alla manipolazione. Infatti, mentre il compito autocritico del filosofo è qualcosa che può essere svolto solo in prima persona, l'acquisizione delle idee e dei valori condivisi dalla comunità può avvenire anche in maniera inconsapevole e passiva.
Il problema del sapere, quindi, è connesso a quello della sua comunicazione e a quello del potere nella comunicazione.
Per quanto concerne la dimensione politica, poi, vediamo che le modalità di conoscenza determinano anche i caratteri della comunità politica: il mondo della caverna è un mondo chiuso e circoscritto, nel quale ha luogo una manipolazione cognitiva tanto più efficace in quanto poco evidente. E' possibile pensare a una comunità politica all'aria aperta, fuori dalla caverna?
A questa domanda si deve rispondere negativamente: la cultura è il luogo dove si forma la prima conoscenza, dove nascono le società e crescono le persone. Per questo il filosofo deve fare i conti con questo mondo chiaroscurale, del quale è anch'egli è cittadino.
Per quanto riguarda la dimensione culturale e comunicativa, infine, vediamo che educazione e cultura sono le questioni politiche fondamentali. Per capire qual è veramente la vita politica di un popolo, occorre indagare su chi controlla il sapere, su come esso viene comunicato e sulla forma e sul grado della sua distribuzione. Nel mondo della caverna, la conoscenza è prodotta e distribuita in maniera monologica e autoritaria, da persone invisibili ai prigionieri, le quali proiettano sulla parete immagini che danno una impressione di realtà, e che creano una cultura comune. I prigionieri-spettatori sono incatenati e passivi, e vivono immersi in uno spazio pubblico circoscritto nel quale la realtà viene creata dalla persuasione occulta di una minoranza.
Detto questo, amici miei, pensate ancora che il mito della caverna non sia ancora così attuale da poter essere applicabile alla nostra Italia e alle tante comunità in cui ognuno di noi vive?
Nel mio caso, nel caso della mia comunità paese lo è sicuramente!
forse le lobby hanno letto e studiato bene il mito delle caverne, ecco perchè ritengo attuale questa lettura.
RispondiElimina